Il peso di una piuma

22.07.2025

I sogni fanno forti gli uomini, i desideri li rendono diversi dagli animali, l'ambizione li forgia soldati di un futuro che profuma di frutti e di fiori. Un futuro che si appresta a diventare presente, cessando d'essere soltanto la frazione immaginaria di un tempo che si attende. Un tempo che si declina per tutti i generi della speranza, che di speranza è fatto perché questa possa farsi realtà nella realizzazione dei propri obiettivi, delle aspirazioni lavorative e personali.

E poi c'è un sogno, -magnifico nella sua essenza-, che rende questi giovani ricchi di speranza. Che colora i paesaggi tetri, riscalda i cuori delle famiglie con il calore dell'orgoglio: arruolarsi nell'Arma, diventare servitori di uno Stato che i giovani li lascia soli, -ogni giorno di più-, dimostrare che quello che dicono non è vero: questa generazione non è perduta.

Poi, però, alla gioia del successo, alla certezza meravigliosa di avercela fatta, sopraggiunge quell'insidioso male che fa silenzio. Quel male che sta muto, non ha nome e non ha faccia. Nessuno lo può chiamare, perché nessuno ha neanche il coraggio di riconoscerlo come vivo. Sta zitto, deve fare silenzio.

E consuma, ogni centimetro, ogni millimetro di anatomia umana e spirituale. Corrode l'anima, distrugge il fegato, lo stomaco. Tortura la mente con i pensieri, -quelli no che stanno zitti-.

Beatrice Belcuore, Antonio Lombardo, Simone Mastrogiacomo, Laura Grillo, loro, -e molti altri-, erano ragazzi che la divisa la sognavano, che l'avevano ottenuta e onorata, -seppur ancora giovanissimi-.

Ragazzi che urlavano di non essere componenti di una generazione perduta, che volevano riscattarsi, con i fatti ancor più che con le parole, -le stesse parole pronunciate da adulti che feriscono ed umiliano-, di avere dei valori, di volerli preservare e custodire, come un tesoro prezioso.

Sono le vittime mute, -così come il loro male-, di una strage lenta, silenziosa che avviene lungo i corridoi di una caserma, dietro la scrivania di un ufficio, nei turni notturni dei ragazzi e delle ragazze che hanno scelto di indossare una divisa per servire lo Stato. I numeri parlano chiaro: ogni settimana un militare o un poliziotto decide di togliersi la vita. E lo fa quasi sempre con l'arma di ordinanza che lo Stato gli ha affidato.

Si preferisce il sacrificio di giovani brillanti, valorosi, coraggiosi, ad un misero tentativo di comprensione,- e di mettersi in discussione-. Si preferisce immolare vittime innocenti sull'altare dei pregiudizi e delle sentenze soltanto per scrollarsi di dosso la responsabilità, i sensi di colpa di chi trova difficoltà ad ammettere che non sono i giovani poveri di valori, sfiduciati di sogni, svogliati di desiderare. Non sono i giovani la rovina di questo paese, non è questa la deriva delle nuove vite.

Il coraggio di questi giovani supera di gran lunga persino il vostro tentativo di provare ad esserlo.

E noi, -giovani-, siamo stanchi di essere i morti della vostra guerra di giudizi, della vostra incapacità di sentire, -con i sensi-, di stupirvi, della vostra cultura assente, delle vostre specializzazioni da perbenisti in materia di qualunquismo. Non lo siete, qualunquisti. Non lo sarete mai.

La tuttologia non v'appartiene, ora meno che mai. Non è più il vostro momento, e questo bisogna accettarlo. Non avete saputo sfruttare i vostri di istanti, e adesso, da tuttologi, volete rubarvi quelli di qualcun altro scatenando stragi?

Non è l'età anagrafica che vi fa grandi, quanto più la cultura ed il sapere. Leggeteli i libri, piuttosto che guardarli e basta, per poi perdervi in figure poco dignitose quando, -in qualità di membro della giuria per l'assegnazione del Premio Strega, e di Ministro della Cultura-, affermate di non avere neanche letto i libri per cui avete espresso il vostro voto.

Lasciateci in pace, o, se volete aiutarci, cercate di rimediare ai vostri errori.

di Alice Canzoniero

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